Verifica demaniale Lorito_Frazione di Roio
Il territorio di Roio si incunea fra quelli di Lucoli ad ovest, e Bagno ad est, dal quale una linea convenzionale lo separa. Occupa quindi un tratto del versante settentrionale del massiccio del Velino, delimitato verso valle dal piano di Roio (la Valle, le Prata) e poi dall’abitato di Poggio e dalla strada che collega questo a Pianola, (ex) frazione di Bagno.
La dorsale principale della montagna di Roio funge da spartiacque rispetto alla vallata di Lucoli. A partire dal valico, oggi anche stradale, di Colle Miruci, la catena si eleva con il dosso di rìpa (1017 m) e poi con l’insellatura di càpu rìpa, oltre la quale comincia la ripida e compatta ascesa del mónde de róji (1420 m). Oltre la piccola sella (1370 m) sulla quale si transita per il pianoro di càmbuji, comincia, con il còlle degliu raffiàtu (1422 m), la còsta rànne, con la massima elevazione delle quàrtare (1783 m). Da questa, in direzione nord, si staccano alcuni cocuzzoli per lo più di scarsa importanza, a parte il còlle cambetégliu (1220 m) e soprattutto la dorsale del castigliónë di Bagno, la cui porzione occidentale appartiene a Roio.
In montagna, si trova la chiesetta di San Lorenzo, che faceva parte di un omonimo monastero di cui si hanno i primi cenni nel sec. XII. Qui si rifugiò il Beato Bonanno da Roio, contemporaneo e compaesano del Beato Placido e di San Franco. Molto antropizzata, la montagna di Roio presenta inoltre diversi ricoveri pastorali diruti: la casétta egliu mónde, un rifugio al cambetégliu, uno al fùnno de tòtani. Alcune costruzioni pastorali in pietra a secco, strobiloformi, si trovano nei pressi della contrada fórca. Le sorgenti invece scarseggiano, e ciò giustifica la costruzione di diverse cisterne (se ne contano almeno tre) e pozzi. I monumenti naturali principali sono le tre cànetre situate a sudest del piano, delle doline di dubbia origine, e il fosso di spedìnu, una dolina apertasi per l’improvviso cedimento della volta di una cavità sotterranea.
Pianta del territorio di Roio recante la data del 1884 e scala 1/20000, la prima redatta dopo l’Unità d’Italia e da cui è possibile evidenziare i confini dei vari comuni, vecchi sentieri e luoghi.
LEGENDA: La maggior parte dei toponimi sono dei relitti risalenti ai periodi della romanizzazione e longobarda ma ancora in uso presso la locale popolazione il cui vissuto è intimamente legato all’economia pastorale ed agricola del territorio che ha subito trasformazioni da ambiente lacustre ad altopiano carsico, adatto all’allevamento.
1 Madonna di Corte 35 J Coppi
2 Ju Pantanu 36 Capu Campu
3 Cupoli 37 Mandra deji Vaccari
4 Roio Piano 38 S.Lorenzo
5 Fontanella 39 Serra
6 Colle della Croce 40 J Pastini
7 Panepatta 41 Capu Campu
8 Mandra della Madonna 42 Macerò
9 Malepassu 43 Pianu della Casetta
10 Urmittu 44 Viaru
11 Corneju 45 Forca
12 Le Fonticelle 46 Peretta
13 Colle Capotò 47 J Riacci
14 Colle della Madonna 48 Vicoli
15 Fossa di Spidinu 49 La Jcenna
16 Colle Lisciu 50 La Cunetta
17 J Crapini 51 La Spiazza
18 Le Macchiole 52 Capu le prata
19 Malleona 53 Ju Spinu
20 Vallone ‘e Ciccu 54 Pantaneju
21 Soloetta 55 Le Soe
22 Smerza Pennente 56 La Muraglia
23 Colle deju Re 57 Capezzanu
24 Colle Tunnu 58 Fontana Ricciotti
25 Colle Battaglia 59 J Rosci
26 Araitu-Le Pagliara 60 Capu la Foce
27 Burragnu 61 Rio Ecchio
28 Araitu
29 Smerza Chitarrinu
30 Canetra Capu
31 Solagnu
32 Canetra de Mezzo
33 Canetra Peè
34 J Ranaj
Al termine dell’era glaciale così doveva apparire la pianura di Roio formatasi forse dal movimento di un piccolo ghiacciaio proveniente dal monte OCRE, madre di tutta la conformazione del territorio circostante.
La foto, ripresa durante lo scioglimento delle nevi, ritrae la formazione lacustre che ogni anno invade la località detta de’ Riacci fino a primavera inoltrata. Sullo sfondo, a partire dalla destra, la Costa, Cerascittu, Serra Lunga e il Monte Ocre, tutti innevati. Diversi sono stati gli approcci scientifici che hanno interessato il gruppo del Monte Ocre (2200m), catena collaterale a quella del Gran Sasso, del Velino ed anche del Sirente dell’entroterra della provincia de L’Aquila. La posizione delle ricche faune cretacee del sito venne configurata da P.L. Prever in una sua monografia dal titolo: “La fauna Coralligena del Cretaceo dei Monti d’Ocre “servita poi ad arricchire la Carta Geologica dell’Italia. I. Chelussi in un suo intervento riportato negli Atti di Soc. it. di Scienze Nat. Vol.XL, Milano 1902 suppone che un piccolo ghiacciaio, scendendo dai Monti di Bagno e di Ocre percorresse il Piano di Roio. Le prove consistevano nella presenza lungo il sentiero che da Pianola sale alla Forchetta di Bagno e nel ripiano esistente fra la giogaia di Pianola e le più basse pendici di Cerasetti di blocchi che potrebbero essere identificati come residui di falda. C. Crema, partendo da tali osservazioni, procedeva nel 1919, alla comparazione di analoghe formazioni riscontrate nella vicina catena della Duchessa sicuramente definibili di origini glaciali. Fu così che le indagini vennero pubblicate in un Rendiconto dell’Accademia dei Lincei nel 1919 in Roma. In sostanza l’impalcatura rocciosa del Monte Ocre (antichissimo etimo che significa Monte) è costituita da una potente pila di calcari in grandi banchi del Cenomaniano e del Turoniano che scompaiono, in basso, sotto i calcari e le arenarie del Miocene ma ne sono privi nella fascia più elevata del rilievo. Proprio questa fascia presenta una membratura di tipo radiale, ma sviluppata secondo una direzione predominante, che è quella dell’antico elissoide di sollevamento del quale conserva i resti da N-O a S-E. Sulla cresta del Monte Ocre, che corre in direzione parallela ad un’altezza di 2200 metri s.m., appare un nodo centrale che si prolunga ad O nella breve giogaia di Casamaina, e dal quale si dipartono, verso S-E i due robusti contrafforti dei monti Cagno e Cefalone, e verso N-O le due giogaie di Serra Lunga e dei Monti di Bagno, la quale ultima si divide in due. Ripide balze ed erte pareti, determinate dalla presenza di due grandi faglie, caratterizzano i versanti di S-O e di N-E. Il versante meridionale a causa della sua esposizione non è in grado di trattenere masse di ghiaccio di una certa consistenza; non così invece la contigua valle di Forca Miccia che ospitò un ghiacciaio che raggiungeva la Conca di Rocca di Mezzo. In basso lo strato morenico si incontra al colle 1384, a partire dal quale da una parte si collega con le masse moreniche osservabili alle falde del Monte Rotondo fra la Brecciara e le Cese, e dall’altra risale la valle di cui ricopre il fondo fin verso Forca Miccia. Sopra di questa lo strato morenico ricompare sopra quota 1800 formando dapprima un esile cordoncino lungo il solco della valle, poi uno sbarramento che permise il formarsi di un piccolo bacino, ora prosciugato. Oltre tale sbarramento i detriti morenici coprono la base del versante sinistro fin sotto l’erta testata della valle. Meno estesi sono i depositi glaciali del versante N-E dove le grandi balze che si allineano fra Rocca di Cambio e Bagno dovettero sostenere per una lunghezza di oltre 8 km una vedretta (piccolo ghiacciaio di pendice) che lasciò una grande quantità di detriti. Questi ultimi, uniti in alto agli attuali detriti di falda, formano come un enorme nastro che avvolge le sottostanti pendici della Maccarita e del Malpasso. Più a Nord, verso Bagno, l’erosione ha in gran parte distrutto questo manto, ma i lembi residui si spingono fin sopra l’abitato di S. Angelo. Una vedretta di più modeste dimensioni si appoggiava al pendio dei Monti di Bagno come mostrano i detriti morenici dovuti all’azione del ghiacciaio. Tali detriti si estendono dal colle 1561 fino alla parte E della R. Coperchi ed in basso fino al solco del vallone delle Grottelle. A S dei Monti di Bagno c’è una valletta con sezione ad U e fondo a gradini che presenta tracce di materiale morenico. Questa valle è conosciuta come Valle del Laghetto per la presenza di un piccolo specchio d’acqua posto in una lieve depressione dovuta a fenomeni glaciali. Dal Laghetto di Bagno si scende a N nella Valle di S. Jago e a N-O nella Vallefredda; la prima fa capo ad una fossa carsica, la seconda ad una depressione dovuta a fattori sia di origine carsica che glaciale. Il ghiacciaio che occupava la Valle di S. Jago dovette riversarsi a E nella R. Coperchi dove i suoi detriti si riuniscono a quelli della vedretta dei Monti di Bagno; quella di Vallefredda si spostò invece verso la Sella delle Quartora. Questo ghiacciaio dovette invadere l’ampio canalone del Fosso Cerasetti con un suo ramo che scese fino alla Fossa Agnese, a N della quale si rinvengono i detriti di un antico arco morenico. Anche questa cavità è di origine carsico-glaciale. La vicina pendice a N di C. Cerasetti dovette rivestirsi di ghiaccio, almeno per un certo tratto e anche a causa di fenomeni carsici vennero a formarsi le due ampie cavità che si osservano più in basso: la Canetra da Capo ed il fosso di Spedino, come segnalano i due lembi morenici avvertibili nell’orlo settentrionale. Più importanti e caratteristiche sono le tracce di glaciazione nella valle di Casamaina. Più in basso dell’abitato i depositi sono difficilmente discriminabili da quelli prodotti dal Monte Orsello, assai più piccolo di Monte Ocre del quale può essere considerato una dipendenza. Il versante esterno dell’Orsello era troppo ripido ed assolato per permettere la conservazione di un ghiacciaio e sicuramente non alimentò i due ghiacciai sottostanti: della Giumenta e quello che dalla chiesola di Lucoli e scendeva nella Conca di Campo Felice ove il cordone morenico si estende per oltre 2 km. Il versante interno fu in grado di ospitare una vedretta ridottasi a piccoli ghiacciai che formarono le attuali “fosse” delle quali viene ricordata per la sua consistenza Fossa Matrone.
Nella formazione glaciale del Monte Ocre è impossibile non valutare alle pendici delle sue falde e soprattutto a Monte Luco la presenza di accumuli detritici che pure rivelano la stessa origine e che stanno sugli antichi depositi lacustri della conca e che potrebbero ingenerare fenomeni tettonici a livello di faglie sottostanti. Ma queste masse di detriti vanno distinte da quelle considerate finora per essere invece riunite a quelle proprie della Valle dell’Aterno.
Fra le voci latine che entrano a far parte del substrato di influsso preitalico va annoverato il vocabolo “arrugia “, in tal modo spiegato da Plinio: “cuniculis per magna spatia actis cavantur montes…(in aurifodinis Hispaniae) arrugias id genus vocat “ ; da questa voce provengono lo spagnolo arroyo, portoghese arroio (ruscello), guascone arroulho (fossa, canale) ed anche il Basco ha arroila (fossa, cavità). Sotto la variante rugia il termine vive anche nelle Alpi, dal Piemonte al Friuli (roja in Val Gardena, rogia nel Comasco, roie nel Friulano) e pare sia preindoeuropea; la forma dei Pirenei presenta una caratteristica comune al Basco anche nei suoi elementi latini rota>errota, ripa>erripa, rege(m)>errege (cfr.C.Tagliarini in –Le origini delle Lingue Neolatine, ed Patron).
La zona lacustre sviluppatasi dopo la glaciazione nell’area montana compresa tra l’attuale zona delle Canetre, Serra Piccola, Capo la Foce, Colle Mirruci e Costa Grande diviene polo di attrazione di presenze umane fin dal Paleolitico inferiore-medio che occupano stazioni tra i 600 e i 900 metri di altitudine.
Intorno agli anni 1950, nei pressi di Ponte Peschio in Genzano di Sassa AQ, a seguito di minuziosi scavi a margine del corso del fiume Aterno, venne rinvenuto del materiale proveniente senza alcun dubbio da una remota industria litica. I manufatti rinvenuti presentano segni di fluitazione per cui si ritiene che fossero abitate le alture circostanti. Inizia in tal modo una fase di insediamenti con caratteristiche continuative ed inizia anche quel ristagno ed attardamento culturale che ha caratterizzato per millenni le comunità stanziali delle zone appenniniche di cui restano scarsissime tracce. I primi flussi verso il territorio su cui sorge l’attuale Roio vennero richiamati dalla particolare conformazione lacustre del luogo che permetteva la costruzione di strutture terramaricole ai margini del lago rifornito di acque dalle zone circostante il Monte Ocre e come emissario l’attuale Capo la Foce, ultimo invaso a sopravvivere fin quasi alla romanizzazione. L’abbassamento dell’alveo dell’emissario, di cui si possono constatare le tracce erosive dovute a forte intensità delle acque che defluivano verso l’attuale località di Pile, ha comportato uno spostamento progressivo degli insediamenti da Sud verso la Foce che ancora conteneva una quantità d’acqua per la sopravvivenza. Reperti fittili di diversa fattura segnano il percorso di tale spostamento insediativo a seguito dell’abbassamento delle acque e fino alla scomparsa definitiva dell’elemento lacustre.
Contemporaneamente dovette svilupparsi un uso sempre più perfezionato di linguaggio di chiara matrice indoeuropea che, tra le comunità preitaliche, può essere rappresentato come una grossa rete a maglie larghe, ispessite successivamente da rapporti tra le varie tribù in cui ha avuto peso l’intervento di più grosse concentrazioni insediative provenienti dalla costa. Tra queste assume importanza la presenza di gruppi guerrieri di Rinaldone in grado di inserirsi prepotentemente nella preistoria peninsulare soprattutto di estrazione agricola. Di provenienza marittima tali gruppi attuano una fase migratoria senza incontrare alcun ostacolo nell’area appenninica vasta e disponibile come appunto risultava essere la zona lacustre di Roio dal clima mite e dalla possibilità di sopravvivenza notevole. E vennero così tracciati i primi percorsi che orientavano gli spostamenti che avvenivano lungo le dorsali montane al fine di evitare gli invasi lacustri e le piene del fiume Aterno e di altri corsi d’acqua che dovevano avere una certa consistenza. Da reperti e tracciati ancora in uso al giorno d’oggi o documentati è possibile individuare alcune direttrici che solcavano la zona compresa tra gli attuali abitati di Sassa, Tornimparte, Lucoli, Roio, Bagno, e tutto il sistema di Monte Ocre per giungere alla Marsica a cui dovevano convergere le attenzioni pe la presenza del grande invaso del Fucino, attrattore socio-economico delle prime comunità preitaliche. Itinerario primario può essere definito quello che partendo dall’attuale Pagliara di Sassa raggiungeva il Colle di S. Lorenzo costeggiando l’attuale chiesa di S. Pietro di Sassa, Collepiano S. Maria di Colle di Roio, le località il Fossato di Roio, la zona di Cerri, la chiesetta di S. Scolastica, il Colle di S. Lorenzo delle Serre, località Solagno di Bagno, Malepasso di Monte Ocre, S. Martino d’Ocre, la chiesa di S. Lucia di Rocca di Cambio per poi proseguire verso il lago del Fucino ( Tale percorso venne ancora utilizzato dagli Aquilani nel XV sec. durante l’assedio di Braccio da Montone per procurarsi bestiame in Marsica e sfuggire alla fame che l’evento procurava agli abitanti). L’itinerario avrebbe avuto una deviazione in località Solagno, verso Cerasitto e Sette Acque ove si sviluppò una delle prime forme di transumanza verticale del bestiame, praticata prevalentemente nel periodo estivo. Altro itinerario, frequentato anche negli anni recenti dagli abitanti del comprensorio, era costituito dal percorso proveniente dal Cecolano per il valico di Castiglione, Tornimparte, Le Piagge di Lucoli, Colle Mirruci, l’antichissima località di S. Stefano nei pressi di S. Rufina, Fontanella, La Cunetta, ricongiungendosi al percorso precedente in località Fonte di S. Scolastica. Altro diverticolo del precedente percorso tagliava in diagonale la Montagna di Roio Piano per raggiungere la Costa Grande (attualmente è ancora in uso come accesso obbligato alla località montana.
La presenza delle prime comunità segue, nella loro lenta costituzione, vicende alterne spesso sfocianti in lotte drammatiche per il predominio sul territorio e ciò è avvertibile dal corredo rinvenuto nelle loro tombe consistenti per lo più in punte di lancia di bronzo o di ferro.
Da “Notizie sugli scavi” dell’anno 1900 si apprende che un certo Luciano Sfarra di Roio, scassando un suo terreno in località “ LI ROSCI “ scoprì un sepolcro recinto e coperto di grosse pietre. All’interno si trovava uno scheletro con corredo di oggetti di bronzo e ferro. Le suppellettili farebbero risalire la tomba all’età del ferro. Descrizione: BRONZO: frammento di un elmo; due conchette con sfaldature in più parti di m. 0,05. Sull’orlo erano lavorate con punti di dado, a sbalzo; un anello. FERRO: Tre cuspidi di lance corrose e rotte in più pezzi; uno stile lungo 20 cm; una ghiera per lancia. MATERIALE FITTILE (Argilla) Sette cilindri a doppia capocchia, il più lungo misura cm.6.
Nel vicino terreno di Francesco Fatigati in una tomba appartenente sicuramente allo stesso periodo (3000-1200 a.C) venne rinvenuto: BRONZO : Piccolo cannello a forma di Spirale di 4 cm; sette gocce per orecchini; quattro frammenti di catenella a doppia maglia. FERRO: Cilindro lungo 10 cm; due chiodi rituali a capocchia larga. MATERIALE FITTILE: Una fiala di bucchero italico rotta in più pezzi, una con le anse intere alta 6 cm e alla bocca 10 cm; intorno alla pancia sono graffite linee circolari. Tutto dimostra che vi fu un insediamento antichissimo. (cfr Persichetti)
La tecnica costruttiva di alcune Tholoi esistenti in Roio dà l’immagine delle antichissime abitazioni che denotano l’inizio di una vita in piccoli agglomerati degli abitanti stanziali.
In un campo nei pressi di Colle di Roio venne rinvenuto un frammento di cippo di pietra recante due lettere I T: misura cm 40/20 ed attualmente fa parte dello stipite inferiore della finestra di destra della chiesa della Madonna di Corte.
La struttura dei caratteri incisi fa supporre una data molto antica, forse di epoca romana repubblicana in relazione alla presenza della vicina colonia di Amiterno. Ma antecedentemente ai ritrovamenti epigrafici in territorio di Corte di Colle di Roio esistono tracce di insediamenti che indicherebbero una relazione con PITINUM, posto proprio difronte alla zona di Colle di Roio e che avvalora l’ipotesi che Amiterno, termine di origine italica, fosse costituito da più insediamenti posti INTORNO ALL’ATERNO (ciò che il prefisso AMI- lascerebbe intendere). Nessuna ricerca escluderebbe la presenza nel sito di Roio dell’antica città italica dai Romani denominata TESTRINA la cui collocazione risulterebbe compatibile con la documentazione storica relativa agli insediamenti vestini e sabini dell’area interessata. Vista la dislocazione delle varie etnie in un territorio relativamente modesto, ci si chiede: come ha avuto inizio tutto ciò? Premesso che le denominazioni delle varie etnie sono state assegnate dai Romani sulla base di indicatori relativi a comportamenti religiosi o sociali delle stesse, risulta difficoltoso individuare un’etnia nel periodo preitalico.
LATINI : > nome collettivo .
Conservano, in sintesi, tutte le caratteristiche di culture etniche.
SANNITI : > rappresentano un punto di vista esterno , denominati dai Romani.
La storia delle varie popolazioni appenniniche ha origine da un’etnia primordiale.
NUCLEO ORIGINARIO> SANNITI – SABINI
PAROLA CONTENITORE> TOTA (Tota civitas> Città diffusa sul territorio sabino)
LOCA > SAFINA –SABINA (In primavera, compiuti i 20 anni si allontanavano dal nucleo primario seguendo un animale o una pianta: SAV >sambuco, pianta che contorna i fossi- Ver Sacrum)
Epigrafe di epoca preitalica con incisa TOTA ed altri segni indecifrabili su pietra cinerina facente parte di un muro perimetrale di una stalla di Poggio di Roio.
Prima delle legioni giunse da Roma nel territorio dei Sabini e dei Vestini il culto della Dea Feronia, personificazione sacra femminile di cui ancor oggi ne restano le tracce.
Da una relazione del 1900 apprendiamo che a mezza costa di Monteluco, nel luogo chiamato Peschi di Pile un certo Luigi Palumbo, nel rovistare una macera, scoprì un’antefissa fittile (decorazione murale in terracotta) alta circa 36 cm e larga 22 che rappresentava una donna alata, vestita di tunica con sopraveste legata alla cintura e il capo adorno di stefane; due ciocche di capelli le cadono sul petto e con le braccia nude e pendenti tiene afferrati per una delle zampe anteriori due animali dall’aspetto di pantere. Ad una di esse manca la testa e l’altra è molto corrosa (II sec a.C.) Il Palumbo, nello stesso deposito, recuperò anche una testina di 12 cm di arte italica. L’immagine qui proposta rappresenta invece l’antefissa rinvenuta in Aveia (Fossa) in un terreno del sig. Mancini. Essa è simile a quella di Roio ma più lavorata con perfezione e vagamente miniata. La veste bianca, la cintura rossa, le ali rosse e celesti. Questa purtroppo è smarrita, quella roiana invece conservata in una collezione di una famiglia de L’Aquila. Le sembianze della dea rappresentata ed il luogo dei rinvenimenti fanno ritenere senza ombra di dubbio che si tratti della dea Feronia la cui presenza veniva fatta oggetto di culto spesso in concomitanza con quello di Diana Persica, Bacco alato gunide, Persefone>Proserpina
potnia theron >signora degli animali
Antefissa in materiale fittile rinvenuta in Aveia ora scomparsa in tutto simile a quella rinvenuta a Monteluco di Roio conservata. Essa rappresenta la dea Feronia il cui culto venne introdotto in Italia dal mondo greco. Il primo tempio a lei dedicato venne eretto nei piani Pontini ed il culto si estese nelle nostre contrade e lo stesso Dionigi afferma che si insediarono presso il fiume Ufente ove era presente il lago, il bosco e una sacra fonte a cui fa riferimento lo stesso Orazio. Ma il tempio più celebrato e rinomato fu quello costruito alle falde del monte Soratte di cui relazionano Virgilio e lo stesso Tito Livio. Uno storico aquilano ipotizza che la dea Feronia, simboleggiante la madre terra, avesse la sua sede preferita nel monte oggi chiamato Monteluco nel suo bosco “viridi gaudens Feronia luco” e le acque a lei sacre sgorgavano dal lago Vetoio ed il luogo di culto nell’edificio antico contiguo. All’esterno esso presenta una forma rotonda, a NO si prolunga obliquamente per cinque metri. L’interno presenta una forma quadrata con quattro vani adornate con una cortina di piccole pietre bianche ed intorno alle pareti corre una fila di chiocciole immerse nello stucco. La volta è a schifo con un foro nel mezzo sul quale doveva trovarsi la lanterna che chiudeva, a mo’ di rosa o di pigna, quell’apertura. Un’antica iscrizione cita un personaggio che è andato al “delubro” della dea Feronia per la via Poplica Campana corrispondente all’attuale Via Campana, conosciuta come Campo di Pile. Il sito compreso tra il lago Vetoio e il Monte Luco offriva una sorprendente verisimiglianza con le affermazioni contenute nell’iscrizione epigrafica citata ed offre un’ottima conferma della presenza di Pitinum e luoghi limitrofi prima ancora della fondazione di Amiterno come colonia romana. Presenze ed insediamenti successivi nelle stesse località confermano tale ipotesi
ITUS, ACTUSQUE . EST // IN HOCE . DELUBRUM// FERONIAI . EX HOCE. LOCO // IN. VIA . POPLICAM// CAMPANAM QUA // PROXIMUM . EST //……….. COPYRIGHT ORESTE LUCIANI
Ulteriori informazioni sugli scavi riguardano il rinvenimento presso la Madonna di Corte di Colle di Roio di numerose tombe ad inumazione l’una accanto all’altra, una vera e propria necropoli. I corpi giacevano alcuni sulla nuda terra, altri in casse di legno ricoperti e circondati da lastre calcaree lavorate a scalpello solo nella faccia interna. Sopra alcune di esse si trovarono tracce di combustione e di grano bruciato. Intorno frammenti di tegole privi di iscrizione. Vennero rinvenuti soprattutto frammenti architettonici tra cui un timpano di fontana, una colonna a bassorilievo sormontata da un capitello corinzio ed altri frammenti. Il tutto fa supporre che nelle vicinanze esistesse un VICUS da cui il materiale era stato asportato.
E P I G R A F I A
1 Si pensa che a linea 1 seguisse un cognome e a linea 3 altri due. A linea 2a “VIII VIR” doveva seguire qualche competenza. Il termine arbitratu in Amiterno ricorre in età repubblicana.
4334 . Il frammento venne rinvenuto a Colle di Roio nel 1768, registrato dal Lupacchini.
4336 – L’epitaffio venne rinvenuto in località S. Stefano di Colle di Roio ove esisteva la presenza di un insediamento vicano, ora scomparso. L’epitaffio si riferisce ad un certo Rutilio, Seviro Augustale facente parte del Collegio dei Seviri, sacerdoti citati da Plinio che avevano una certa autorità nel territorio di Pitinum. Esiste anche un epitaffio di L. Rutilio di Amiterno la cui lapide si trova nei gradini della chiesa di Preturo ma non è lo stesso di S. Stefano. Da ciò si deduce l’importanza della realtà vicana di S. Stefano e del ruolo di Pitinum nell’attribuzione dei Seviri.
4337 La stupenda lapide è murata sulla facciata della chiesa di S. Maria di Colle recante un epitaffio dedicato alla prematura morte di una fanciulla gemella. In alto è visibile una fontana con fiori da cui bevono due uccelli ed in basso due cani che corrono nella stessa direzione ad indicare la fugacità della vita umana. Nel suo complesso la lapide esprime una sensibilità grande.
4343 – Epigrafe ora presente in un orto di S. Rufina di Roio, trasportata dalla vicina S. Stefano della stessa località alle falde del Colle Miruci e reperito dal sacerdote Don Fatigati.
4346 – La grossa lapide con iscrizioni giganti venne trovata sempre in località Colle di Roio e venne utilizzata per uno stipite e rotta per fare un’acquasantiera nella chiesa di S. Maria di Colle. (cfr per tutto il materiale epigrafico cfr. il Momsen , il Lupacchini e il Leosini )
Dal territorio di Roio proviene CIL 2 1865 che contiene il nome dei liberti di C. Attius Labeo, contemporaneo del poeta latino Persio, nato a Volterra nel 34 d.C. e morto nel 62, compositore di numerose opere poetiche, satire; lasciò anche una ricchisima biblioteca contenente le opere filosofiche dello stoico Crisippo. Nel terreno di A. Ciccozzi, località Madonna di Corte, venne scoperta una tomba con due corpi, coperta da grossi blocchi, uno dei quali reca un’iscrizione. Il blocco è attualmente murato in una casa di S. Rufina nella piazza principale del paese. Tra i frammenti del sepolcro c’era un fronticino in calcare locale di 65/160 cm raffigurante un tritone con due code verso gli angoli laterali. Con la mano destra stringe una conchiglia in atto di suonare, la testa volta a destra; con la sinistra stringe un remo. E’ conservato nella collezione di una famiglia aquilana. Un’altra iscrizione si trova murata in una casa di S. Rufina. Un’altra tomba con uomo, donna e bambino venne rinvenuta sempre nella stessa località. Tra le lastre che la ricoprivano c’era un’iscrizione parzialmente raschiata in età antica e reimpiegata. Un’altra ancora recava le tracce di un sigillo ed è depositata presso la Soprintendenza di Chieti.
Epigrafe “Didyma” sulla facciata di S. Maria in Colle
Pietra forse lustrale appartenente al tempio su cui ora
sorge la Chiesa di S. Maria in Colle (L’Annunziata )
Tratto di muro sulla fiancata sinistra della chiesa con residuo della spianata dell’antico tempio.
Esterno e facciata dell’Annunziata in Colle di Roio con
reperti sparsi di epoca romana.
Per quanto riguarda la sentieristica, la carta CAI include l’itinerario n° 6, da Roio Piano alla cima del mónde de róji, il n° 6C che prosegue fino alla cima delle quàrtare, ed il n° 6E che compie un anello attorno alle canetre ed alla cima del castiglionë.